A sessantuno anni dal Trattato di Roma la maggioranza degli europei non è più europeista. Lo dimostrano quasi tutti i risultati elettorali nei paesi dell’Unione. Il progetto sta fallendo o forse è già fallito. Ad Est, al comunismo di una volta si è sostituito un sovranismo deciso, tutto patria, fondi comunitari e fili spinati, con il sostegno dei governi. Ad Ovest, in molti paesi fondatori, sconfitti spesso gli esecutivi di centro sinistra euro-ortodossi, mietono consensi i partiti di destra e le nuove formazioni identitarie, che hanno intercettato quel bisogno della società di sicurezza e di riduzione delle disuguaglianze. L’Italia non fa eccezione. Si temeva il neofascismo, dalle urne è uscito un nuovo movimento, unendo il successo dei Cinque Stelle e della Lega, che si può identificare trumpianamente come ‘Italy First’. I media stranieri, come il Washington Post, ora si dicono preoccupati, ma prima avevano parlato d’altro.

Un’inchiesta del Guardian  a pochi giorni dalle consultazioni del 4 marzo, aveva ricordato che dal 2014 d oggi, ci sono stati 142 episodi di violenza e intimidazione commessi da neofascisti o simpatizzanti di estrema destra. Un’analisi del genere si è occupata di fatti gravi ma che in fondo non rappresentavano la complessa realtà italiana e ha completamente ignorato la trave dell’antieuropeismo, che ha preso quasi un voto su due. L’Italia è così solo l’ultima stazione di un treno che conduce al fallimento di un progetto. In Francia il Front National fa incetta di consensi da anni e non governa forse solo grazie alla legge elettorale col ballottaggio. Nella ricca Germania Alternative fur Deutschland, appena entrata in Parlamento, e il partito neo nazista NPD, costituiscono soggetti forti e radicati, soprattutto nella ex DDR. In Austria, piccolo ma cruciale crocevia della storia, è nato un governo a forte trazione di destra. Anche l’uscita dell’Inghilterra dimostra che la Brexit non è poi così folle se tutti gli indicatori economici continuano ad essere ottimi. In un modo o in un altro, nel nucleo storico dell’euro, l’allergia al righello di Bruxelles si è fatta sistema, si è istituzionalizzata.

Nell’ex blocco sovietico, che subisce però il fascino della Russia, il fenomeno è diverso ma allo stesso modo disgregante. L’accostamento della xenofobia e dei pregiudizi razziali influenzano la formazione del pensiero giovanile, mentre chi governa prova in alcuni casi a riscrivere la storia. La legge sui campi di sterminio approvata a Varsavia, già teatro di inquietanti manifestazioni filonaziste, che proibirebbe di attribuire alla Polonia e ai polacchi corresponsabilità nella Shoah, è nata in un contesto in cui il movimento Law and Justice, decisamente antieuropeista, ha guadagnando un terzo dell’elettorato studentesco. In Ungheria, il partito di ultra destra Jobbik è tra i più popolari nelle inclinazioni degli studenti universitari e il governo di Viktor Orban, già responsabile del blocco del ricollocamento dei migranti nell’Ue, ha utilizzato l’immagine di George Soros, finanziere di origine ebraiche, per una violenta campagna e xenofoba. In Slovacchia quasi un quarto dei giovani alla prima scheda ha scelto il partito del Popolo la Nostra Slovacchia, i cui rimandi ai tempi del regime nazista non sono velati. In genere, nel gruppo di Visegrad ben oltre il 20% dei millennials crede che le formazioni di ultra destra siano più in grado di garantirgli benessere. Sempre nelle terre che furono di Stalin si fa largo poi una nuova specie di negazionismo, una tendenza a sollevare i governi passati dalle responsabilità sulle persecuzioni contro interi gruppi o popolazioni, soprattutto ebrei. Ne ha parlato un’inchiesta di Avvenire. In Bulgaria, peraltro presidente di turno dell’Unione, dal 2003 i movimenti neonazisti guidati dall’Unione Nazionale Bulgara organizzano una marcia per commemorare Hristo Lukov, leader dell’Unione delle Legioni Nazionaliste Bulgare, che, in piena guerra, appoggiò le leggi antisemite. A poco sono servite le proteste del Centro Simon Wiesenthal e del Parlamento Europeo. Una ripulitura delle responsabilità ad uso interno, sta avvenendo anche in Lituania, Ucraina, Croazia.

I pezzi del puzzle sono ormai tutti sul tavolo e compongono una vecchia cartina geografica: quella dei primi del Novecento. Ne può scaturire quello che si paventa da tempo in noiosi e deserti convegni sull’Europa: l’implosione dell’Ue. E il fatto che le istituzioni comunitarie siano intente ancora a promuovere inutili seminari, suonando tranquillamente sul Titanic la marcia del 3 per cento, è uno straordinario acceleratore del processo di disintegrazione.