Non credo molto a chi preconizza lo scoppio di una nuova bolla finanziaria. Ma solo perché chi sa davvero come stanno le cose, banchieri centrali e vigilantes, tace e non da’ indicazioni da esaminare. Qualcuno sostiene che questo silenzio sia foriero di sventure. Giulio Tremonti e la Goldman Sachs, ad esempio, temono che la prossima crisi arriverà dalla moneta virtuale BitCoin, giunta a valere 4.000 dollari, di fatto un’alternativa alla moneta stampata dalle banche centrali. Il secondo assunto è vero, come è vero però che il digital cash per ora vale poche decine di miliardi di capitalizzazione.
Piuttosto mi concentrerei sul destino delle banche e delle finanze pubbliche, come ha sottolineato il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, nel mettere tutti in guardia dal crescente strapotere della fintech, la finanza digitale senza regole e frontiere, che fa della disintermediazione finanziaria la sua arma segreta.
Tra dieci anni esisteranno ancora gli istituti di credito e i tesori nazionali?
Vi fornisco tre indizi su cui riflettere. Il primo è il record raggiunto dall’indice tecnologico di Wall Street. Ha superato il top del 2000, quando appunto scoppiò la bolla della new economy. In molti sostengono che ci siano troppo soldi in giro e troppo debito; ma rispetto a 16 anni fa non si tratta più di industrie tradizionali andate a vendere sul web ma di veri colossi che contano più della Casa Bianca. Facebook, Apple, Google, Amazon e Microsoft sono nate lì e capitalizzano ormai più del Pil francese e inglese. Difficile che chiudano, a meno di non pensare al divieto di usare la rete. Più facile invece – e questa è la seconda riflessione – che diventino qualcosa di diverso. Whatsapp, posseduta da Facebook, dopo aver profilato per bene i suoi clienti, prevede di entrare nei sistemi di pagamento; Apple ha appena lanciato un’applicazione che permette di pagare usando semplicemente lo smartphone e non le carte di debito; Amazon, dopo essersi regalata un giornale come Il Washington Post e delle navi cargo per essere completamente  autonoma nella distribuzione, ha inaugurato il primo vero negozio. Peccato che non abbia dipendenti: si passa, si prende, si paga, si esce. Un po’ come la finanza virtuale che non necessità di sportelli, impiegati e reader.
Come terzo punto di riflessione c’è la costante crescita del divario tra i miliardari e i poveri, una distribuzione della ricchezza che va sempre più a vantaggio di chi la crea.
La domanda che dobbiamo quindi porci non è tanto se e quando scoppierà la prossima bolla finanziaria, cosa statisticamente possibile, ma quando i governi decideranno di tassare tutta questa ricchezza improduttiva, che vale dieci volte il Pil mondiale, per creare posti di lavoro e costruire nuove infrastrutture. Keynes l’avrebbe già proposto.

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