di Giulio Saputo 

L’Unione europea e l’Italia, in particolare, non hanno mai affrontato una sfida di questo genere. Se concentriamo lo sguardo su determinate aree di policy, questa rappresenta una nuova crisi che si aggiunge ad una situazione di interregno gramsciano in cui è evidente che il vecchio potere degli stati nazionali non muore e il nuovo potere europeo non è ancora in grado di nascere. In tutti questi ambiti, in queste aree di competenza confusa, si sviluppano delle aberrazioni, delle negazioni dei valori su cui si fondano le Costituzioni democratiche nazionali e l’Unione europea stessa. Questo sta avvenendo per la (non) gestione dei flussi migratori, per il mancato rispetto dello stato di diritto (vedi Polonia e Ungheria) o, nel caso in esame per l’emergenza pandemica. Mancate decisioni, crollo di solidarietà, frenetico immobilismo intergovernativo: un susseguirsi di riunioni tra capi di stato che bloccano ogni capacità di decisione comunitaria. Sì perché purtroppo (e in questo i media italiani hanno una responsabilità particolare) c’è una gran confusione su cosa sia l’Europa. Una confusione che distrugge l’utopia e crea sempre un facile capro espiatorio, un alibi per non dare all’Ue gli strumenti democratici per agire mentre consente ai governi (di tutti i colori) di ritrovare consenso in un nazionalismo che è sempre facile da fomentare.

Dobbiamo far luce sulla complessità una volta per tutte: quello che decidono di fare gli stati membri non è quello che necessariamente vorrebbe l’Unione e viceversa. Così come le parole della Banca Centrale non corrispondono a quelle della Commissione (in Italia le parole di Visco non equivalgono a quelle di Conte), nessuna di queste istituzioni parla per il progetto europeo in sé. È un po’ come se non fossimo d’accordo con le dichiarazioni di Zingaretti come Segretario del PD e allora smettiamo di credere nella Regione Lazio.

Ognuno ha le sue responsabilità personali, ma dobbiamo differenziare ciò che ci contraddistingue come comunità di destino da ciò che le istituzioni possono e non possono fare (cioè chi ha il potere di fare cosa) e quello che riguarda le fake news che in questo contesto sono utilizzate come una vera e propria arma politica.

Le fake news e la distorsione delle notizie

Partiamo col fare chiarezza su alcune fake news o sulla narrazione distorta riguardo alcune notizie che stanno girando. Notizie che alimentano l’allarmismo, che contribuiscono ad erodere il tessuto sociale e a fomentare la paura e la sfiducia verso le istituzioni nazionali ed europee.

1) Innanzi tutto, non c’è nessuna invasione di militari americani che nascondono vaccini o preparano colpi di stato. “Defender Europe 20” è un piano che raccoglie una serie di esercitazioni militari nel quadro Nato a cui parteciperanno da aprile 7 mila soldati europei e 30 mila militari americani (20 mila dagli USA, 10 mila già presenti nel continente). Si tratta di un modo per mostrare alla Russia (e forse un po’ anche agli europei) che la NATO non è morta e può svolgere ancora un ruolo geopolitico importante nonostante lo spostamento d’interesse strategico americano dall’Atlantico al Pacifico.

2) La Presidente della Banca Centrale Europea ha fatto una dichiarazione imbarazzante. Su questo e sull’intervento stizzito del Presidente Mattarella non c’è niente da aggiungere. Come numerose fonti di stampa riportano, Lagarde si è presentata ai microfoni davvero mal preparata. Ma da qui ad affermare che “l’Europa ci ha abbandonato” ce n’è di strada. Si tratta di un salto logico davvero incomprensibile. In continuità con Draghi, la BCE ha ricordato che la politica monetaria non può risolvere tutto ed è necessario creare una politica fiscale e una politica economica che è ad oggi monopolio dei governi sia sul piano nazionale che su quello europeo. Anzi, a chi va imputata la mancata costruzione di un bilancio dotato di risorse proprie sul piano continentale, in grado di garantire beni pubblici per tutti i cittadini? Stesso discorso vale per il mancato accordo sul bilancio pluriennale dell’Unione (che mette in discussione un numero imprecisato di progetti sociali, l’erasmus e fondi strutturali) o per il continuo rimandare la riforma del MES (come molti appelli riportano, da fondo salva-stati a fondo aiuta-stati). A decidere di non decidere sono i governi europei nel Consiglio o nell’Eurogruppo. Lasciamo stare la BCE, anche se forse è legittimo rimpiangere l’alta capacità di leadership di Mario Draghi.

3) Ultimamente, su miope visione geopolitica del nostro ministero degli Esteri, viene fomentata in chiave antieuropea la propaganda cinese sul coronavirus. Secondo questa retorica la Cina, che comunque ora si sta muovendo concretamente, dopo che però il virus si è propagato e ha fatto migliaia di morti. Lo stesso stato che cerca di rinnovare la propria immagine geopolitica attraverso una fortissima propaganda e che prova a mangiarsi fette di influenza in un’Europa divisa a spese degli Stati Uniti sempre più concentrati sul loro ombelico. 

L’Europa ci ha lasciati soli?

Andrebbe ripetuto all’infinito. Quando sentiamo pronunciare o leggiamo questa frase immediatamente dobbiamo chiederci: di chi si parla? Degli stati membri (ultimamente Germania, Francia, Austria sono molto in voga), delle istituzioni che controllano gli stati in modo intergovernativo (ad esempio, il Consiglio o il famigerato Eurogruppo) o delle istituzioni comunitarie (Commissione o Parlamento europeo)?

Evito ora di entrare nella polemica che ha riguardato Macron, del quale sono state strumentalizzate frasi estrapolate da un discorso complesso (nel pieno di una campagna elettorale in cui vanno al voto migliaia di comuni), ma vorrei concentrarmi invece sul paese di Angela Merkel e sulle distorsioni delle notizie che lo riguardano. La Germania, così come gli altri stati che chiudono le frontiere o sospendono l’invio di materiale sanitario per far fronte alle singole emergenze nazionali, sono davvero brutti e cattivi? Ovviamente no.

Guardiamo le cose in termini generali.

Il punto di partenza è che la solidarietà tra gli stati nazionali non esiste nei momenti di crisi, crederci sarebbe solo una pia illusione. Come non sono resistite allo scoppio della Prima guerra mondiale la solidarietà internazionale tra i proletari per i socialisti o, ancora, allo scoppio della Seconda, l’interdipendenza economica e l’apertura dei mercati per i liberali. Andando ancora più indietro, vale lo stesso ragionamento per la pace sognata dai democratici, come se questa potesse essere un risultato automatico dato dalla sostituzione dei re con i rappresentanti dei cittadini nelle decisioni di politica estera degli stati. Da soli non bastano i grandi valori o le dichiarazioni d’intenti. In un mondo governato dall’anarchia internazionale, le relazioni tra gli stati sono tenute in piedi nei momenti di crisi solo con il realismo politico. Purtroppo non c’è diritto o economia che tenga nelle relazioni internazionali, in ultima istanza, vige lo stato di natura. Non ci raccontiamo favole, non bastano e non servono a nulla neanche “le regole” e due guerre mondiali dovrebbero avercelo insegnato: i processi umani si governano con le istituzioni.

Guardiamo al presente. Qual è la grande differenza rispetto al passato? Oggi abbiamo delle istituzioni multilaterali sovranazionali (in declino) che provano a fare rispettare i diritti umani e svolgono un ruolo di arbitro nel governo delle crisi dentro e fuori gli stati (con qualche buon risultato).

In realtà, la grande differenza oggi la fa il progetto europeo.

Noi abbiamo l’Unione europea, un progetto in divenire e un esempio nel mondo di costruzione del diritto e della democrazia sul piano sovranazionale. L’Unione sta in piedi e sta dimostrando una straordinaria capacità di resilienza alle crisi del nuovo mondo globalizzato perché negli anni effettivamente si è trovata un potere politico/istituzionale con un buon grado di legittimità democratica che dialetticamente si contrappone e si affianca a quello degli stati nazionali. Un’Unione fragile, ma che in alcuni ambiti riesce a addirittura a colmare le lacune degli stati membri. Eppure, anche nella cornice di questa Unione, gli stati tendono ad agire nello stesso modo: se si sentono minacciati, fanno di tutto per la propria autoconservazione. Non c’è europeismo che tenga. Questa è stata la prima reazione che i governi hanno avuto di fronte ad ogni crisi. Ora non voglio essere troppo radicale, è chiaro che ci son le eccezioni e i grandi gesti che rompono le tendenze della storia, come è innegabile che oggi esista una solidarietà di fatto nei termini di un ritorno di opinione pubblica e nei germi di una coscienza di una cittadinanza europea che è consapevole. Ma nei momenti di crisi passate e presenti, contano sempre e hanno contato le istituzioni e quel che possono fare. Questo è quel che è successo con la crisi economica e ora sta succedendo con la gestione dei flussi migratori e con l’argomento principale di questo articolo: l’arginamento del contagio da coronavirus.

Gli stati nazionali agiscono così, ma oggi l’Europa non ci ha abbandonato.

Allo stop dell’invio di materiale sanitario dagli stati, la Commissione europea (il nostro governo in carica, cui il Parlamento europeo ha votato recentemente la fiducia) è intervenuta duramente intimando a Germania and co. di sospendere qualsiasi misura di protezionismo (in particolare, proprio la Germania si è letto in un’esclusiva di Repubblica pare stia preparando ora un grande piano umanitario ad hoc per l’Italia). 
L’Unione ci ha dato il massimo di flessibilità di spesa, ha iniziato a fornire aiuti attraverso il meccanismo di protezione civile, ha annunciato un piano di qualche decina di miliardi dai fondi strutturali per aiutar l’Italia e, nel quadro di “Horizon”, per la ricerca sul coronavirus. Stanno costituendo squadre mediche e di beni essenziali da inviare nelle aree di emergenza. Beh, però d’altra parte si potrebbe rispondere, tutto qui?

L’Europa che siamo contro l’Europa che immaginiamo.

Noi percepiamo l’Europa, ne sentiamo parlare tutti i giorni perché in questa entità identifichiamo tutto quell’insieme di attori e di istituzioni che vi ho ricordato prima. Ma, in realtà, l’Unione europea ha ben pochi poteri. In particolare, le politiche sanitarie sono gelosamente tenute nelle mani degli stati. Il Trattato di Lisbona prevede effettivamente alcune possibilità di intervento sovranazionale in caso di pandemia, ma per avanzamenti concreti le istituzioni comunitarie devono poter avere una sponda e una collaborazione da parte di una maggioranza dei governi nel Consiglio o si rischia di replicare l’emergenza e l’isolamento di alcuni stati e la tragedia umanitaria provocata coi flussi migratori. L’Europa purtroppo non è uno stato federale e la Commissione non può emanare direttive vincolanti per contrastare il diffondersi della pandemia, né ha un bilancio tale che le permetta di allocare e ridistribuire le risorse nei territori in difficoltà. Invece, ogni stato prende la sua direzione, anche se ormai dovremmo aver capito che la somma dei singoli interessi individuali non crea l’interesse generale e gli unici che ne risultano danneggiati da questa non-europa sono i cittadini. Nel breve periodo si potrebbe riformare il Meccanismo Europeo di Stabilità in un Meccanismo Europeo di Solidarietà per rilanciare lo sviluppo, ma occorre che vengano portate avanti quelle riforme istituzionali paventate con la “Conferenza sul futuro dell’Europa”. È necessario un percorso di riforma dei Trattati (o al di fuori) che vada verso la realizzazione di quelle istituzioni che permettano di governare efficacemente le crisi. Solo così potremo uscire da queste continue spirali emergenziali e dare all’Unione gli strumenti democratici per diventare lo stato che immaginiamo, capace di realizzare le nostre istanze. L’Europa può uscire più forte da questa ennesima crisi, ma dobbiamo chiedere finalmente un momento costituzionale per riappropriarci come cittadini della sovranità anche sul piano europeo. (riproduzione riservata)