La Catalexit che non t’aspetti impone subito una domanda: l’esito plebiscitario col 90% dei voti del referendum di Barcellona ha stabilito l’uscita della Catalogna dalla Spagna e con essa anche dall’Unione Europea? A sentire i promotori, la Catalogna sarebbe poi pronta a chiedere di entrare a pieno titolo nell’Ue, ma basta leggere l’articolo 49 del Trattato sul funzionamento dello stesso per capire che è molto difficile: prima ancora di essere lasciati liberi da Madrid, i catalani dovrebbero essere riconosciuti quale Stato autonomo, perché solo uno Stato autonomo può avviare trattative con le istituzioni comunitarie e gli altri Stati europei. Leggere per credere.

“Ogni Stato europeo che rispetti i valori di cui all’articolo 2 e si impegni a promuoverli può domandare di diventare membro dell’Unione. Il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali sono informati di tale domanda. Lo Stato richiedente trasmette la sua domanda al Consiglio, che si pronuncia all’unanimità, previa consultazione della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, che si pronuncia a maggioranza dei membri che lo compongono. Si tiene conto dei criteri di ammissibilità convenuti dal Consiglio europeo.
Le condizioni per l’ammissione e gli adattamenti dei trattati su cui è fondata l’Unione, da essa determinati, formano l’oggetto di un accordo tra gli Stati membri e lo Stato richiedente. Tale accordo è sottoposto a ratifica da tutti gli Stati contraenti conformemente alle loro rispettive norme costituzionali”.

Risulta evidente che il primo scoglio, essere riconosciuto come Stato, sembrerebbe piuttosto insormontabile, tale da rendere la Catalogna, ove mai il governo di Madrid cedesse al referendum di domenica (cosa da escludere), una sorta di nazione limbo.
Fanno quindi riflettere le considerazioni di Felipe Gonzales, storico leader socialista e premier per molti anni: il voto non ha “alcun fondamento giuridico” e risulta “antidemocratico in quanto va contro la Costituzione e lo stesso Statuto della Autonomia”.

Il voto di domenica rischia perciò di non aver “alcun fondamento giuridico” e di essere “antidemocratico in quanto va contro la Costituzione e lo stesso Statuto della Autonomia”. Sono le considerazioni di Felipe Gonzales, leader socialista e per lungo tempo premier della penisola, che probabilmente rappresentano la lettura migliore di questa fase difficilissima che si appresta a vivere la Spagna e con lei l’Europa intera.