Il Rapporto sulla conoscenza dell’Istat del 2018 ha mostrato come l’Italia sia l’ultimo paese in Europa per laureati. Solo il 20 per cento ha in mano un titolo di studio dopo il diploma. Ormai a questi dati siamo abituati e, quasi, non ci facciamo più caso. Perché siamo un popolo che non solo è ignorante, ma che è anche orgoglioso di esserlo. Certo, il mondo del lavoro non valorizza i titoli di studio come avviene nel resto d’Europa e i finanziamenti alla scuola pubblica si riducono con ogni finanziaria che si ha l’occasione di toccare. C’è però un altro grande problema italiano, che forse ci distingue dal resto d’Europa e che è più culturale che statistico. Siamo un popolo arrogante. Non se ne possono ovviamente tratte dati, ma l’impressione è che l’età mentale media del popolo italiano sia bassa, ferma agli anni dell’adolescenza. Quando tutto ti è dovuto e quando la logica imperante è quella del “massimo risultato con il minimo sforzo”. Siamo un Paese che studia poco e si aspetta grandi voti, lavori, responsabilità cui sa di non essere in grado di tener fede. E mentre nella retorica del “favorire giovani” il dato dell’abbassamento dell’età in politica dovrebbe essere un successo del nostro Paese, questo dato dimostra invece come la logica del Millennial italiano sia questa: non serve studiare, non serve conoscere la macchina in cui si lavora alla perfezione per potervisi assicurare una posizione. I nostri giovani Ministri, sottosegretari e politici di punta dimostrano ogni giorno un’impreparazione, di cui fanno vanto e sfoggio, nello svolgere le pratiche istituzionali. I giovani politici, unica professione in cui questi trovano sbocco facile e sicuro, entrano in organi e istituti di cui non conoscono il funzionamento. Questo perchè in Italia questa noiosa “solfa” della meritocrazia non ha mai davvero attecchito. La retorica degli ultimi anni è stata quella di addossare le colpe delle mancanze italiane non solo a chi “ci stava prima”, ma soprattutto al fatto che “chi ci stava prima” era qualificato per il ruolo che ricopriva. E quindi l’errore non è stato nello scegliere i qualificati sbagliati, ma nello sceglierli qualificati. Si stanno demonizzando la preparazione e i titoli di studio come qualcosa dal cui guardarsi attentamente. Perchè “se è arrivato lì c’è un motivo”. E quel motivo non è mai il merito. La cultura del sospetto porta gli insospettabili al potere, così che potranno poi spiegare i propri fallimenti con la propria impreparazione. Questo problema di fondo non è riferito solo a chi governa oggi, ma è una costante in tutti i partiti che preferiscono il volto giovane al buon amministratore. E in un clima che colpevolizza chi studia e che taglia sempre più fondi a quegli istituti, ci si può sorprendere che i giovani non studiano più? Studiare per anni e laurearsi, per poi sentirsi dare del “professorone” e del “burocrate”? Per vedersi magari passare avanti un giovane dai modi burrascosi ed arrogante della sua ignoranza? Quale pazzo lo farebbe? Per fortuna, ancora, qualcuno lo fa. E l’Italia, assieme al benessere di chi ci vive, è condannata a poter sperare solo attraverso i folli. Come da millenni, tra l’altro.