di Roberto Sommella 

 

L’Europa è invisa a milioni di persone perché l’Unione, la sua proiezione istituzionale, non sa parlare da tempo un linguaggio universale. E così, la forza di una comunità nata dalla guerra capace di unire le diversità per un progetto di pace e benessere comune, sta franando proprio nel momento in cui dovrebbe costruire piani di sviluppo per disoccupati, emarginati, arrabbiati, disobbedienti di vario genere che assediano i governi nazionali,ormai privi di sovranità e forze necessarie per rispondere a tanto disagio. Il linguaggio dei padroni del vapore a Bruxelles è ancor più incomprensibile in quanto fatto solo di numeri. Deficit, debito, Pilespresso in trattati e norme  oscuri ai più. Fiscal Compact, Six Pack, Bail in. Mai un nome, una persona, un’idea. Competenze politiche e teorie economiche sono in declino proprio quando servirebbero di più. Non ci sono solo les énragès del nuovo millennio francese vestiti di giallo che hanno messo alle corde il Presidente della Repubblica, intere generazioni di giovani nell’Europa dell’Est, ex Ddr compresa,  coltivano il mito dell’uomo forte, affascinati da nuovi e vecchi autoritarismi. La Gran Bretagna è scossa dai postumi post Brexit e ci si preoccupa più del destino di banche e fondi piuttosto che interrogarsi sui motivi che hanno convinto 12 milioni di persone a votare LeaveL’Italia, unico paese in cui la protesta è arrivata al governo con il Movimento Cinque Stelle, pare indecisa tra un cammino sovranista che spezzi la rete in cui è finita persino Londra, o assecondare alla fine le richieste della Commissione Europea. Manca in tutte le capitali una visione strategica, molti paesi importanti sono guidati da leader in difficoltà, delle anatre zoppe (Merkel, Macron, May). E a Bruxelles è sparita una visione comune.

In passato non è stato così. Grazie anche all’azione di tanti statisti, quelli che oggi definiremmo elites, i poveri nel vecchio continente si sono bruscamente ridotti dal 41% della popolazione nel secondo dopoguerra al 14% del 2007, mentre la ricchezza delle famiglie è cresciuta di quattro volte, con una riduzione delle disuguaglianze che non ha avuto eguali nella storia. L’ultimo decennio di crisi ha poi ribaltato le cose e sono sempre di più quelli che aspettano di migliorare le proprie condizioni di vita. Senza risultati. L’80% della nuova ricchezza ormai va al 15% della fetta di società più agiata. In molti Stati membri i salari reali sono fermi ormai dal 2008. Ben 118 milioni, il 24% degli europei, sono a rischio povertà o esclusione sociale. Un esercito che resta fuori da ogni meeting a Palazzo Berlaymont, fuori dalla porta delle cene liturgiche, dai meeting degli sherpa, dalle infinite riunioni (se ne consumano ogni anno a centinaia) di Ecofin ed Eurogruppi vari.

 

Per un’Europa più giusta, più equa (mutuiamo lo slogan del ministro Paolo Savona) e più giovane, serve una agenda di lavoroe obiettivi strategici, con i seguenti punti qualificanti. Spendingreview europea e nuovi obiettivi. Innanzitutto non si può non partire da un taglio agli sprechi delle stesse istituzioni comunitarie. Che senso ha che il Parlamento Europeo, pur in deficit di potestà legislativa, abbia tre sedi? E’ stato davvero necessario costruire una nuova sede della Bce a Francoforte? Un’inchiesta di Millennium nel fare le pulci al bilancio comunitario ha portato alla luce come 1,8 miliardi se ne vadano solo di pensioni, spesso agevolate, mentre Commissione e Parlamento costano rispettivamente 3,56 e 1,9 miliardi, e dei 117,8 miliardi di contributi assegnati ai paesi membri quelli per l’amministrazione sono quasi quattro volte i fondi per cittadinanza e sicurezza (7,4 miliardi contro 1,9). Una redistribuzione appare necessaria, così come occorre sviluppare maggiormente i temi di una vera politica estera e tutela ambientale, ancora troppo marginali. Impresa, fisco e banche. Se si vuole promuovere davvero investimenti strutturali socialmente sostenibili di lunga durata e una strategia industriale che riduca le differenze tra Eurozona e Ue allargata occorre per forza dare attuazione all’Unione Fiscale, che impedisca il proliferare di paradisi fiscali nella stessa eurozona quali Irlanda, Lussemburgo e Paesi Bassi. In quest’ottica, per ridurre gli svantaggi competitivi, occorre varare finalmente una Web Tax che eroda il potere dei nuovi monopoli digitali, che tengono parcheggiata in Europa la bellezza di 450 miliardi di euro, un terzo dell’intero bilancio comunitario. Serve poi il completamento dell’Unione Bancaria, mantenendo però la possibilità di salvare gli istituti di credito in difficoltà con risorse pubbliche senza utilizzare i soldi dei risparmiatori come invece prevede il bail, in che andrebbe messo da parte una volta che si vari la tutela comune dei depositi. Tesoro unico, eurobond, modifica dello statuto della Bce. Inutile girarci attorno: lo spread è la dimostrazione che non possono coesistere a lungo economie diverse con la sola moneta unica senza che ci sia un debito comune. Serve dunque l’istituzione di un Ministero Unico del Tesoro che emetta debito comune attraverso strumenti di debito, dopo la condivisione dello stesso sopra il tetto del 60% di Piloccorre poi anche la trasformazione, previa modifica dello statuto, della Banca Centrale Europea in prestatore di ultima istanza, come in tutti gli altri paesi del G7.Nell’ambito dell’architettura comunitaria un maggiore attaccamento agli ideali europei non può che arrivare dall’elezione diretta del Presidente della Commissione Europea e dal rafforzamento dell’attività legislativa del Parlamento Europeo con abolizione del voto all’unanimità. In questo quadro, visti gli squilibri esistenti, la destinazione di una quota non inferiore al 10% del bilancio quinquennale a favore della costituzione di un reddito di cittadinanza europeo può essere un modo per cominciare ad affrontare il nodo delle disuguaglianze, visto che ben 118 milioni di europei sono a rischio povertà.

Per un’Europa più giusta serve un’Unione più equa. Il futuro della prima dipende dall’altra.